27 Dicembre 2019

Il cappelletto reggiano: il Re delle Feste

Recentemente nella storica Sala del Tricolore di Reggio Emilia, in presenza delle autorità cittadine e regionali, è stato depositato il primo ed unico Disciplinare del Cappelletto Reggiano, pensato, voluto e redatto dall’Associazione Il Cappelletto Reggiano, nata e costituita al solo scopo di valorizzare e tutelare uno dei prodotti artigianali identitari di Reggio Emilia: il cappelletto.

Parlare di cappelletto reggiano significa parlare di una storia d’amore lunga secoli, che, come tutte le storie d’amore, lega profondamente le persone, il loro vissuto, il territorio in un abbraccio virtuoso e voluttuoso che ha regalato a tutti un imprinting del gusto attualissimo, seppur con radici antiche.

Il Disciplinare definisce innanzi tutto le caratteristiche del vero e unico cappelletto reggiano: contiene, infatti, tutte le caratteristiche fondamentali che distinguono il cappelletto reggiano da prodotti similari presenti nelle varie provincie emiliane. Con questo atto ufficiale si intende anche trasmettere le modalità di realizzazione del cappelletto con l’obiettivo di salvaguardare non solo la memoria ma anche il “saper fare” che sta dietro un piatto così significativo della cultura e del territorio, gettando un ponte nuovo tra le generazioni. Riscoprire la manualità del cappelletto e della ricca tradizione gastronomica significa dare sostanza alla cultura e al piacere della buona tavola.

All’interno della tradizione reggiana la ricetta varia leggermente anche a seconda della famiglia e della località (montagna, bassa reggiana e capoluogo), così come le dimensioni che tendono ad aumentare scendendo verso la bassa. Il cappelletto, appetitoso ed irresistibile, è perfetto con il brodo anche se non disdegna il ragù o la panna.

Dietro il suo aspetto si cela una piccola malizia: secondo una leggenda (che trae origine dai versi della “Secchia Rapita” di Alessandro Tassoni) Venere, Marte e Bacco, mentre girovagavano sulla terra, fecero sosta in una trattoria. Il mattino seguente il dio del Vino e quello della Guerra si alzarono molto presto per ammirare l’Alba mentre Venere, più dormigliona, rimase a letto. Quando la dea si destò, meravigliandosi di essere da sola e forse un poco affamata, chiamò il cuoco. Questi, vedendo quel magnifico corpo, rimase così sconcertato che si rinchiuse in cucina, deciso a riprodurre almeno un particolare della dea. Con fervore impastò la sfoglia, tagliò tanti quadratini, li farcì di carne e li richiuse arrotolandoli al dito. L‘ardore era ormai svanito ma “imitando di Venere il bellico, l’arte di fare il tortellino apprese”.
A chi non crede alla mitologia diciamo che il nome deriva da “cappello” perché la forma dei cappelletti ricorda sia il copricapo medievale sia la mitria dei granatieri.
Con la sua forma rotondeggiante, piccolo e discreto, morbido e un po’ sensuale, il cappelletto sa di famiglia, di casa, di mani femminili, di gesti antichi ripetuti e rituali e di tempi lenti, di scelte precise.

Il cappelletto reggiano, dunque, si colloca in quel luogo che percorre tutta la Via Emilia e tutte le paste ripiene che la “abitano”: da Parma, con i suoi “anolini” a Modena e a Bologna con i loro “tortellini.

Vi aspettiamo per assaporare presso il nostro Ristorante i cappelletti reggiani, fatti rigorosamente secondo la tradizione!

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